Salviamo la Fabbrica Cederna dall'abbattimento!!
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Cederna Fodere S.p.A.
Via Gratosoglio, 71, 20142 Milano MI |
Contesto |
Nel centro di Gratosoglio si trova il Cotonificio Cederna, edificato nel 1886 e fondato da Antonio Cederna, nato nel 1841, patriota e garibaldino, capostipite industriale di una famiglia valtellinese, nota soprattutto per merito di due discendenti, che a modo loro hanno segnato gli ultimi cinquant'anni della storia italiana: Camilla Cederna, storica giornalista e scrittrice, e Antonio Cederna, archeologo, giornalista e scrittore.
Per quanto decisamente ridimensionato e parzialmente dismesso l'edificio industriale spicca ancora nel territorio del Gratosoglio come l'ultima fabbrica rimasta attiva nella storia industriale del quartiere, con una serie di impianti altamente tecnologizzati. In riferimento al passato della fabbrica, si dice che il cotonificio ebbe grande parte nella storia della Gratosoglio recente. |
interno cortile Cotonificio Cederna, 2018
Prime considerazioni |
Il complesso, oggi, è composto dall’edificio dell’ex asilo nido Regina Margherita sulla via Gratosoglio, poi diventato alloggio dei dirigenti; da una villetta d’inizio Novecento, che è stata la sede dei vigili per alcuni anni; da un caseggiato per l’alloggio dei dipendenti; e dallo stabilimento vero e proprio.
Nel febbraio del 2020 l’unità di Gratosoglio è stata chiusa definitivamente. Lo stabilimento storico si estende per circa 30 mila m2 sulle sponde del Lambro Meridionale. La zona risultava ideale per la costruzione di un impianto industriale sia per il fiume che per le falde, ideali per la produzione di tessuti e per la tinteggiatura. Ci si arriva percorrendo la via Gratosoglio, laddove agli inizi del Novecento scorreva il fiume Lambro, prima della deviazione. Intorno alla metà dell’Ottocento il Cotonificio esisteva già ed era in legno, più tardi venne edificato, come si vede ancora oggi. |
rendering progetto Cotonificio Cederna, 1886
panoramica da google maps oggi
Un impianto all'avanguardia |
Il complesso ha le caratteristiche tipiche di un impianto industriale di fine Ottocento, con le coperture “a dente di sega” (Shed), caratteristica delle strutture di fabbrica, e grandi vetrate affacciate sul verde. Il progetto originale prevedeva già all’epoca della costruzione una sorta di “cittadella” per gli operai – a mo’ di Crespi d’Adda – con tutta una serie di servizi dediti a quest’ultimi. Il Cotonificio Cederna fece costruire le case per i dipendenti, l’asilo gestito dalle suore, l’infermeria, la mensa, la bocciofila per la ricreazione dei dipendenti, le colonie per i loro figli e negli anni 20 venne realizzato un campo da calcio nel borgo. Non molto lontano sorgeva anche la Chiesa, in questo caso la nuova Chiesa di San Barnaba in Gratosoglio, costruita negli anni Quaranta, vide la partecipazione dei Cederna al progetto ed all’edificazione.
Quando non esistevano ancora i quartieri popolari e residenziali visibili oggi, nella zona sorgevano l’antico borgo di Gratosoglio, i campi coltivati, la Cartiera di Verona, la Cartiera Binda e la riseria Gariboldi, tutti grandi stabilimenti che diedero lavoro a centinaia e centinaia di dipendenti e che offrivano loro tutti i servizi necessari. Il Cotonificio ha attraversato un secolo complesso fatto di innovazioni e nuove sfide per giungere fino al febbraio 2020. Negli anni Settanta la produzione contava circa 200 dipendenti, negli anni Novanta 120, negli ultimi anni 28. |
interno cortile Cotonificio Cederna, 2018
a sinistra 1966, a destra 2018, particolare tetto a "shed"
La testimonianza di Ivano |
Lo stabilimento produceva inizialmente stoffe e fodere per vestiti e abiti classici e tingeva i tessuti. Negli anni 80-90 vendeva soprattutto in Italia, fornendo i grossi gruppi tessili come Lebole, Gruppo finanziario tessile, Marzotto, Canali ecc. Negli anni il mercato tessile è cambiato e l’azienda ha cercato di adattarsi, iniziando a produrre anche tessuti tecnici – sportivi. L’adattamento ha generato grossi problemi finanziari ed economici ed ha portato alla vendita delle azioni a TMR.
Il consigliere municipale di zona 5 e giornalista Matteo Marucco, ha riportato in un articolo del giornale di zona La Conca, delle interviste di ex dipendenti della fabbrica. Tra questi, Ivano Olini, responsabile di stabilimento fino al febbraio 2020. Marucco ha visitato la fabbrica con l’ex operaio: Uno spazio molto, molto vasto, silente, con gli ultimi macchinari visibili, le aree dedicate alla produzione delle fodere, le aree per la tintoria, per le analisi chimico-fisiche di laboratorio, uno spazio esterno per la depurazione delle acque, che venivano convogliate al depuratore del Ronchetto, uno per i controlli della qualità del prodotto, un reparto separato da un cancello dove lavoravano le donne specializzate nel confezionamento, gli spogliatoi, la mensa, gli uffici. Dopo il giro mi hanno raccontato la memoria storica del Cotonificio, tratteggiata da ricordi personali. Ivano ha lavorato 30 anni al Cotonificio. Gran parte della sua famiglia ha lavorato lì. Suo padre ci aveva lavorato dal 1950 al 1984 come operaio, poi anche i suoi zii e le sue zie. Dopo il militare, nel 1986, ha iniziato a lavorare, mosso dai racconti della fabbrica della sua famiglia. Negli anni è passato da quasi tutti i reparti fino a diventare responsabile di stabilimento. Racconta che non abbia cambiato posto lavorativo proprio perché era sempre stato colpito dal clima familiare che si respirava. |
Ex asilo Regina Margherita
Ex asilo Regina Margherita sulla desta © Archivio e biblioteca della Fondazione Istituto per la Storia Dell'Età Contemporanea
Conclusioni |
Un’altra testimonianza della Cederna è data dall’ex dipendente Zita Defendenti e abitante dell’antico borgo di Gratosoglio. Infatti, attraverso il suo racconto, pronunciato con forte cadenza milanese, si riesce a ricostruire l’immagine di come doveva essere il quartiere all’alba della Seconda guerra mondiale. Inizia il suo racconto dall’ex Chiesa di S. Barnaba (Abbazia Vallombrosana):
quella era la mia chiesa, nel 1943 ho fatto la mia prima comunione alle sei del mattino. Era bella quella chiesa lì, lascia stare che poi è diventata un “magazin”. C’era la guerra e fuori dalla chiesa a sinistra c’era l’oratorio con le suore e allora siccome non avevamo niente, perché eravamo tutti sulla stessa strada e tutti poveri e quindi ci si arrangiava, le suore ci prepararono una bella tazza di cioccolato con i biscotti. Zita racconta che lei era più fortunata di altri, suo padre lavorava alla Cartiera di Verona e la nonna aveva un mulino. Esisteva già il cotonificio Cederna e lei divenne dipendente giovanissima. La inserirono in ufficio, vista la buona calligrafia, per compilare i “libroni” della finanza: “guai se uscivo dalle righe, mamma mia”. |
a sinistra ex caserma, a destra edificio degli uffici, 2018.
Il processo industriale |
La Cederna, come tutto il borgo, era come una piccola Venezia, c'erano tanti piccoli canali all'interno e all’esterno della fabbrica e le donne ci lavavano i tessuti quando ancora non c’erano le lavatrici.
In fabbrica arrivava il tessuto grezzo per poi essere lavorato. Veniva fatto il candeggio all’interno di vasche grandi di granito riempite di acqua calda e cloro. Con la carrucola avvolgevano il tessuto e il tutto passava in un'altra vasca per togliere la candeggina. Poi venivano asciugati e arrotolati e passavano per la tintoria. Dopo essere stati asciugati avveniva la prettatura, cioè venivano cosparsi da una sostanza per far mantenere il colore. Successivamente passava nelle calandre per lucidare il tessuto, all’interno i rulli giravano e sparavano il vapore. Poi il controllo del tessuto, con le specole, lo facevano le operaie, che controllavano se c’erano difetti. Infine, la piegatura con le macchinette. Si presentava come un lungo e laborioso processo e per questo avevano i turni. “Avevamo le ferie e la mensa! A me piaceva andare a lavorare, ma veramente. Perché l’ambiente era uno per tutti, tutti per uno. Il mio datore di lavoro ci dava la pausa caffè! C’era un bell’ambiente. Davano tanti servizi: l’asilo e il nido con le bambinaie che allattavano i figli delle operaie, poi regalavano il burro, i salamini, l’olio; a Pasqua e a Natale regalavano un pacco con il tessuto che producevano loro. Nel cortile c’è ancora un pino stupendo, centenario, enorme. Dall’ufficio c’era un corridoio da cui passare per arrivare al pino, vicino c’era un lavandino con una tazza legata con la catena e con l’anice di fianco (probabilmente non era potabile), e si andava tutti lì a fare pausa e tutti bevevano da quella tazza. Era bello, mi piaceva tanto andarci. Ho sempre fatto il mio lavoro. I miei colleghi erano tutti del nord, ma negli anni 60’ sono arrivati tanti dal sud, famiglie numerosissime, tutte brave persone, e la Cederna dava loro gli appartamenti”. |
esterno ex Cotonificio Cederna © https://blog.urbanfile.org/2020/07/03/milano-gratosoglio-il-borgo-antico-quasi-nascosto/
Conclusioni |
Da queste testimonianze è ben visibile l’importanza di questa fabbrica sia, dal punto di vista affettivo che lavorativo. L’edificio stesso è memoria immobile di una storia che parla del popolo milanese e di un periodo storico, culturale ed economico importante. La Cederna parla della Milano industriale di fine Ottocento, dei cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro degli operai, è testimonianza delle attività produttive e soprattutto parla di radici, di persone e del quartiere. L’ex cotonificio di Gratosoglio assume una valenza culturale e antropologica che vale la pena conservare e promuovere. Questo stabilimento è parte della memoria storica di Gratosoglio e sarebbe doveroso salvarla. È stato un luogo di aggregazione e di ricreazione che ha contribuito alla formazione della zona per come la conosciamo noi oggi.
Alla domanda se fosse al corrente della nuova acquisizione da parte della clinica convenzionata Humanitas dell’intero complesso, e del probabile conseguente abbattimento di tutti gli edifici appartenuti ai Cederna, Zita risponde: “sarebbe un gran peccato, è la nostra storia”. |
particolare coperture ex Cotonificio Cederna
Bibliografia e sitografia |
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