|
Contesto |
Di fianco al Naviglio Pavese e all’interno del complesso cascinale di Chiesa Rossa, riqualificata e aperta al pubblico nel 2005 grazie al Comitato Cascina Chiesa Rossa si erige la piccola chiesa di Sanata Maria alla Fonte risalente all’incirca al X secolo.
Con una storia millenaria questa piccola chiesa nasconde dei tesori e grazie a chi se ne sono occupato possiamo oggi ricostruire e immaginare il passato glorioso e l’eccellente testimonianza di questo gioiello milanese. Grazie alla documentazione d’archivio che va dal 988 al 2000 abbiamo ricche testimonianze e riferimenti quasi certi sulla sua fondazione e gli avvenimenti storici che testimoniano la sua presenza nell’arco di 1000 anni. Il primo documento che testimonia la presenza della chiesetta risale al gennaio del 988: in esso si menziona una Basilica Mariae ad Fonticulum. |
Le prime testimonianze |
Il primo documento che testimonia la presenza della chiesetta risale al gennaio del 988: in esso si menziona una Basilica Mariae ad Fonticulum. L’edificio di cui si parla in questo documento non è quello che vediamo noi oggi ma si riferisce all’antico edificio absidato con pianta a croce libera considerato paleocristiano (V sec. d.C.).
Infatti, grazie al lavoro degli scavi, è stato possibile individuare sotto la pavimentazione della chiesa un piccolo sacello absidato detto “cella memoriae trichora” di età paleocristiana (unico esemplare a Milano!), dello stesso orientamento della chiesa – verso est – caratterizzato dalla croce libera e dalla presenza di un antico mosaico bianco e nero. Gli studiosi farebbero risalire questo pavimento musivo al II sec. d.C., e questo fa si che l’origine dell’edificio risalga ad epoca ancora anteriore, precristiana. Addirittura è molto plausibile che esso potesse essere collegato ad una costruzione molto più grande, una ricca Domus romana di cui si sono trovate tracce negli ultimi restauri anche all'esterno della chiesa attuale. |
Click here to edit.
Mosaico II sec. d.C. © Chiesa Santa Maria alla Fonte
Aspetto esterno |
Ritorniamo all’aspetto della chiesa che vediamo oggi. I restauri avvenuti nel 1966 hanno voluto valorizzarne lo strato romanico (XII secolo) – quindi, eliminando i ritocchi posteri, soprattutto del 1700-1800 – e riportandolo alla luce nonostante le devastazioni dovute alla costruzione del naviglio nel XIV secolo e tanti altri avvenimenti che ne hanno corrotto la salvaguardia. Dello strato romanico è rimasto ben poco se non l’aspetto generale e alcune caratteristiche decorative: le mura, la forma della chiesa, l’abside, le lesene, le arcatelle continue incrociate pensili, dette a denti d’ingranaggio, con le testine e le monofore, le altre parti sono successive al 1150.
La chiesa presenta una navata, un’abside e nessun transetto, richiamando nella struttura lo stile paleocristiano. All’interno non ci sono arcate sostenute da colonne, ma direttamente la copertura a capriate essendo molto piccola. L’aspetto esterno, caratterizzato dal mattone rosso, dipendeva esclusivamente dal materiale più facilmente reperibile nella zona. Infatti, nella zona del comasco lo strato romanico è caratterizzato da una muratura fatta di cocci, di pietre irregolari incastrate tra loro. L’abside era addossata ad una costruzione risalente, con molta probabilità, al 1772 come testimoniato dalla mappa di Carlo VI conservata all’archivio di stato di Milano. L'abside, orientata verso est, è divisa in tre parti da lesene che salgono a reggere il coronamento ad archetti. In ogni sezione è presente una monofora alta e stretta, profilata in cotto e arenaria a tutto sesto; le fenditure hanno la ghiera ornata nella strombatura da doppio cordone in pietra. La facciata a capanna continua, così come si presenta oggi, fu restaurata nel 1966, è caratterizzata da un portale e da una monofora con strombatura in cotto, conserva lo strato romanico malgrado i danneggiamenti subiti. Del campanile quadrato rimane solo un tronco che si arresta a metà chiesa con due arcate cieche e una finestrella strombata. La struttura attuale è il risultato di un completamento dei restauri del 1966: si sa, attraverso una documentazione fotografica, che già nel 1930 era come la vediamo attualmente. |
Abside © Chiesa Santa Maria alla Fonte
L'insediamento delle monache benedettine |
I fianchi erano rafforzati da speroni, di cui ne rimane uno solo, quello a destra della facciata, mentre nella parte sinistra sporgono robusti pilastri di muro.
Un’ampia ricostruzione storica dell’edificio è possibile dal principio del secolo XII, dopo la venuta di San Bernardo di Clairvaux nella regione milanese intorno al 1134-35, cioè dal tempo in cui sorsero alcuni monasteri (Chiaravalle, Morimondo…) e fra essi quello delle monache dell’ordine di San Benedetto, non lontano dalla chiesa di Santa Maria. Infatti, il secondo documento risale al 28 settembre 1139: in esso la prima abbadessa, Bonita, si rivolge all’arcivescovo di Milano Roboaldo esortandolo a prendere sotto la sua tutela il monastero “noviter aedificatum” di Santa Maria ad Fonticulum. In tale documento si apprende che in questo periodo avviene l’insediamento di una comunità di monache benedettine, che il monastero e la chiesa sono di recente costruzione (noviter aedificatum) e che il complesso era stato dedicato a Maria. Pertanto, è lecito supporre che attorno al 1139 abbiamo una ricostruzione integrale mentre di quella primitiva (citata dal primo documento del 988) non resta quasi nulla. Nel 1162 sappiamo che Milano venne distrutta dall’imperatore Federico I di Svevia, detto il Barbarossa e per la sfavorevole ubicazione, posta sulla strada tra Pavia e Milano, la Chiesa di Santa Maria di Fonteggio fu oggetto di devastazione da parte degli invasori. Quindi, appare evidente che le monache benedettine abbiano intrapreso una serie di ricostruzioni (includendo i notevoli danni subiti dal monastero benedettino del terremoto del 1117). A cominciare dal 1239 il monastero si preparava a subire momenti difficili sopraffatto dal cupo fragore delle armi. Nello stesso anno Federico II, riprendendo il disegno del Barbarossa, marciava con un poderoso esercito su Milano. I Milanesi si apprestarono alla difesa. Accampati a Fonteggio, deviarono con singolare abilità le acque dei fontanili verso il nemico – che nel frattempo si era accampato presso Locate – costringendolo a levare il campo e a ritirarsi. |
a sinistra dettaglio monofora strombata, a destra dettaglio arcatelle con una testina © Civico Archivio Fotografico, Comune di Milano.
|
Nella prima metà del 1300 il monastero, dopo diverse vicissitudini, non se la viveva bene, erano rimaste solo quattro benedettine e tra queste una era chiamata donna Maria De Robacarri, un personaggio che merita di essere ricordato. La monaca era figlia di donna Caracossa che rimasta vedova si era ritirata presso il monastero di Fonteggio.
Alla sua morte donna Maria per onorare la madre provvide ai restauri della basilica che fece ornare e affrescare. Il ricordo di questa gentildonna è legato alla lapide. Sulla lapide – oggi collocata presso l’altare della Madonna – si leggono queste parole: “1333 – 19 settembre. Qui è sepolta Donna Maria De Robacarri, monaca di questo monastero che spese per l’anima di sua madre, sua e dei suoi, per la riparqazione, per le pittrue e per l’ornato di questa chiesa, circa mille lire In occasione di questi restauri probabilmente è stato realizzato l'affresco del catino absidale, ormai scomparso, rappresentante il Cristo in mandorla benedicente in mezzo agli Evangelisti e ai santi, che taluni studiosi attribuiscono invece al XI-XII secolo. Sicuramente di quest'epoca sono, invece, i dipinti raffiguranti il Cristo insultato dai Giudei e la Monaca orante sulle pareti laterali. Nel 1365 viene realizzato il “cavo” del Naviglio Pavese quindi il monastero viene diviso in due parti. A questa data si fa risalire un probabile cunicolo sotterraneo che collegava l'abbazia alla chiesa. Quasi una decina di anni dopo si fa risalire l’abbandono del monastero dalle poche monache rimaste. Un aneddoto interessante ci porta a comprendere la probabile origine del nome di “Chiesa Rossa”: in un documento di cronaca datato 27 aprile 1455 i neosposi Tristano Sforza e Beatrice d’Este in viaggio da Ferrara per Milano fanno sosta a “S. Maria Russa”. Da allora tale denominazione prenderà il posto dell’appellativo “ad Fonticulum”. |
mosaico policromo © Chiesa Santa Maria alla Fonte
Altri ritrovamenti significativi |
Come già citato, l’origine precristiana e solo dopo adattata al culto cristiano, è testimoniato dal tratto di pavimentazione a mosaico risalente al II sec. d.C., un pavimento a tasselli in bianco e nero con disegno ad ottagoni e quadrati. In epoca non precisata il sacello è stato ampliato verso sud-est, probabilmente per la fondazione della Basilica paleocristiana tra il V e VIII secolo.
Viene poi ritrovato un altro resto di pavimentazione musiva, forse di epoca longobarda, presente nel braccio occidentale del sacello. Presenta notevoli differenze con quello romano dell'abside: è policromo, più grossolano, le tessere sono tagliate male, il fondo è più fragile. Si è pensato all’epoca longobarda perché proprio accanto è stata rinvenuta una tomba che aveva come copertura un pluteo di stile longobardo. Si è subito pensato ai famosi plutei longobardi conservati a Monza (V – VI sec). Questa datazione però non è condivisa da tutti, dall’analisi di elementi interi e dal confronto con altre opere, alcuni esperti tendono a considerare che sia il pluteo che l’adiacente pavimentazione siano più recenti (VIII-X sec.). La Tomba rinvenuta è stata trovata nel braccio orientale: è coperta da due lastre, una in pietra d’Angera e una di marmo greco, era collocato in corrispondenza dell'asse meridionale della chiesa medioevale. La prima conserva parte di un'iscrizione a carattere capitale e risale alla fine del I secolo. Secondo molti studiosi è sufficiente l'epigrafe sulla lastra per supporre che in quel luogo esisteva un santuario dedicato alla dea Diana Nemorense. Per quanto concerne la figura del personaggio nominato nell'iscrizione dopo aver formulato diverse ipotesi sulle parti mancanti, viene identificato come un “questore di Sicilia”, un autorevole senatore dell'impero e della città di Mediolanum. Secondo Mirabella Roberti la lastra potrebbe anche “essere venuta da lontano, anche se un supponibile tempio o sacello a Diana Nemorense è a suo luogo in campagna”. La seconda lastra, quella in marmo greco, è, appunto, il pluteo longobardo con una grande croce, due agnelli sotto la croce, due colombe che si posano sui bracci orizzontali e con il capo si rivolgono verso i due agnelli, intorno una corona di foglie cordiformi. Nel 1999 ripresero i lavori di scavo e vennero ritrovati numerosi reperti: numerose sepolture, una vera e propria necropoli che si è prolungata nel tempo. Le tombe rinvenute hanno evidenziato l'appartenenza a epoche diverse; la loro datazione, infatti, è stata possibile attraverso la stratigrafia e gli oggetti rinvenuti (oggi al museo archeologico di Milano). È stato ritrovato il corpo di un ragazzo, all’incirca di quattordici anni, che con la mano si tiene in testa un copricapo in cui, all’interno è disegnata una croce; questa sepoltura risale presumibilmente al XII secolo. Altri corpi sono stati trovati con oggetti come fermagli in bronzo, collane in pasta vitrea, monete e sono da collocare attorno al 1300; quelli, più recenti come rosari e medagliette votive, attorno al 1500. Per quanto riguarda l'edilizia che risale al II sec. d.C. è stato rinvenuto, inglobato nelle mura del vano absidale, il frammento di una testa maschile in marmo. Gli esperti hanno concluso che potrebbe trattarsi di un personaggio importante della famiglia romana Giulio-Claudia. Altri studi ne hanno riconosciuto l'immagine dell'imperatore Tiberio |
a sinistra lapide tombale di donna Maria De Robacarri, al centro pluteo longobardo, a destra testa maschile in marmo
Gli affreschi |
Gli affreschi all’interno della chiesa, datati tra il 1300 e il 1333 – quelli della Robacarri – si potevano ammirare fino al 1960, prima che l'incuria dell'uomo ne facesse perdere lo splendore. A lato dell'altare maggiore ci sono due cappelle con volta a crociera. Sul fondo e sul fianco esterno delle edicole vi erano piccole finestre. Le pareti delle cappelle erano tutte affrescate.
La decorazione dell'abside era divisa in tre zone: il catino con il Cristo pantocratore con Evangelisti e santi, poi una zona media, con le tre monofore lombarde, infine la zona più bassa, decorata con finto drappo a pieghe regolari (velum dipinto), visibile oggi solo in pochi punti. Il trono, racchiuso nella tradizionale mandorla, era circondato dal tetramorfo. A sinistra si trovavano ritti in piedi due santi con larghe aureole: quello più prossimo all'orlo esterno, con l'abito sacerdotale, l'altra una figura femminile: si tratta di Sant'Ambrogio e della sorella Santa Marcellina. A destra altri due santi: San Dionigi (attribuzione incerta) e il diacono Santo Stefano. Un’ipotesi afferma che presumibilmente sono della scuola giottoniana, per la forma degli occhi allungata e dal movimento dei corpi, anche se Giotto passò da Milano nel 1305; forse suoi collaboratori o artisti che avevano visto i suoi affreschi? Nello stato attuale pochi affreschi sono riconoscibili: ne restano infatti solo alcune tracce sulle pareti della chiesa e sulla controfacciata. I due conservati meglio sono: Gesù deriso dai Giudei e le donne al Sepolcro con la presenza dell'angelo, entrambi risalenti al XIV secolo. Nella cappella sinistra, invece, troviamo resti di affreschi presumibilmente di Cristo risorto incontra la Maddalena e la Madonna del latte. Quest’ultima è il tipo di raffigurazione più antica della Madonna; ha la sua consacrazione dopo il Concilio di Efeso, 433, quando viene sancita la doppia natura di Gesù e l’appellativo di Theotokos a Maria, ovvero madre di Dio. |
dettaglio affresco della Madonna del latte © Chiesa Santa Maria alla Fonte
dettaglio affresco Sant'Ambrogio e la committente Maria De Robacarri inginocchiata © Chiesa Santa Maria alla Fonte
Conclusioni |
Nel 1928 arrivò il giusto riconoscimento storico, culturale, artistico per cui la chiesa venne dichiarata monumento nazionale e fu acquisita dal Comune nel 1960 insieme con gli attigui fabbricati agricoli.
La situazione che si presentava all'inizio degli interventi di recupero dell'intero complesso era quella, non solo di un totale abbandono, ma anche di un’alterazione, di un danneggiamento causato dal tempo, dagli interventi settecenteschi, delle trasformazioni del XIX e XX secolo, che ne avevano alterato la struttura originaria. Lo scopo principale del provvedimento doveva essere quello di valorizzare le forme originarie, dello strato romanico tipicamente lombardo e di salvaguardare gli affreschi rimasti. I lavori di restauro ebbero inizio nel 1966, procedettero lentamente fino al 1970. Durante questi scavi vennero trovati i resti dei pavimenti musivi e le preesistenze paleocristiane e precristiane. Nonostante questo, il cantiere rimase chiuso per ben 30 anni, e ha permesso il danneggiamento aggressivo e la cancellazione di una testimonianza storica artistica fondamentale. Ci sono diverse lacune e ancora un buono studio da approfondire per dar luce a questa piccola chiesa nella periferia sud di Milano. Questo è un perfetto esempio d’incuria umana e, con la conseguenza di aver perso per sempre un pezzo di storia, dalla poca lungimiranza per quanto riguarda il valore di questo edificio. |
interno della chiesa © Chiesa Santa Maria alla Fonte
Bibliografia e sitografia |
|